La Vernaccia di San Gimignano secondo il Colombaio di Santachiara

Nel 1966 ci lascia Walt Disney, grazie al quale la fantasia prende forma, Anna Viola, mai figura emblematica come oggi, rifiuta il matrimonio riparatore, spezzando una catena di costrizioni maschiliste, la sonda Luna 9 raggiunge lo spazio. Mentre Firenze è devastata da un terribile alluvione, la regione Toscana regala l’alloro al Belpaese grazie alla prima DOC italiana, protagonista? La Vernaccia di San Gimignano, promossa a DOCG nel 1993, mentre Bill Clinton entra nella Casa Bianca. Gli eventi si susseguono, il tempo passa, la natura si evolve, a volte, si ribella ma l’Italia rimane il Paese della biodiversità. Ancora incerta l’etimologia della parola vernaccia, qualcuno la attribuisce a vernaculum. Forse quest’uva, più di altre, assorbiva le variazioni climatiche? Ancora oggi non è possibile saperlo. È certo, però, che col medesimo termine si intendono “acini” che provengono da zone diverse e che, sebbene omonime, possiedono DNA differenti.

La Toscana, nota più per i grappoli a bacca rossa, possiede un tesoretto: la Vernaccia di San Gimignano, chiamata così da una cittadina collinare nell’area sud – ovest di Firenze, caratterizzata da una piazza triangolare, attorniata da abitazioni medievali… E non solo. Uva luminosa “trattata” da disparati vignaioli. Tra loro spicca la cantina Il colombaio di Santachiara. È Mario a dedicarsi alla terra e, non obbliga i figli a seguirlo ma, questi sono impregnati da un amore viscerale alle radici che decidono di seguire il padre, primo di tutti Alessio che coinvolge anche i fratelli Giampiero e Stefano. Tre favelle sciolte, estroversi, comunicativi che conoscono la loro realtà decidendo, così, di trasmetterla agli altri. L’azienda produce anche Sangiovese, Cabernet Franc e Merlot ma l’apice lo raggiunge attraverso calici dorati. Selvabianca 2020 dai riflessi smeraldini echeggia note cedrine, mela per poi offrire spazio ai fiori gialli. È un buon incipit che invita all’assaggio delle altre bottiglie. Campo delle Piave 2019, affina su feccia nobile, più prezioso nel colore, gioca tra sbuffi di miele di sulla, note erbacee, a tratti eucalipto. Piace. L’Albereta 2018 subisce un affinamento sia in botti di rovere che in cemento. Sorso più strutturato, piacevole, a momenti resinoso, distinguibile nel suo genere, estroverso. Chi desidera una soddisfazione più densa, opulenta, da abbinare non solo a un dessert ma anche a un luculliano piatto di formaggi è l’IGT Toscana passito 2018. Un pregiato ambra lascia archetti sinuosi, tangibili, setosi, tutti da gustare. In bocca vibra ancora l’acidità, fil rouge di tutti gli assaggi, mai stucchevole.  

Per gli amanti dell’oro verde la monocultivar Correggiolo è assolutamente da abbinare a un gelato alla crema.

La produzione è tutta biologica, la natura è rispettata, mai violentata. Mario è un ascoltatore del soffio della terra che resta, ancora, la nostra unica genitrice.