Paolo e Dina Rapuzzi, genitori dello Schioppettino

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Friuli Venezia Giulia, regione a statuto speciale. Per la sua ubicazione è sempre stata una terra di confine, odiata e amata da italiani e stranieri. Apprezzata, talvolta violentata. È abitata da gente vigorosa che ha avuto la forza di combattere e di mantenere la propria storia sebbene qualcuno avesse tentato di cancellarla. Forum Julii apprezzato da Giulio Cesare che ha sempre considerato la coltivazione dell’uva una forma di civilizzazione delle popolazioni conquistate. Disparati i generali romani che, una volta impadronitosi di un territorio, portavano orgogliosamente un tralcio di vite in mano. Nella loro mentalità i popoli civili dovevano bere e produrre vino.
Numerosi i vitigni autoctoni della regione quali Verduzzo Friulano, Ribolla Gialla (presente anche in Slovenia e nell’isola di Cefalonia), Picolit ma anche uve a bacca rossa come Refosco del Peduncolo Rosso e Schioppettino. La Storia di quest’ultima è legata indissolubilmente alla famiglia Rapuzzi. Paolo e Dina sono sposi, il giovane lavora come concessionario all’Olivetti, posizione ambita negli anni ’60 che offre una certa stabilità. Paolo, però, è inquieto, attratto dai campi, vorrebbe cambiare esistenza sebbene non abbia mai avuto a che fare con la vita bucolica. È come se qualcuno gli mormorasse che è giunto il momento di scoprire qualcosa, di dedicarsi a un nuovo progetto. Negli anni ’70 poche sono le uve autoctone nel friulano. La fillossera e le due grandi guerre hanno depauperato il territorio e strappato parte della sua storia. Paolo è un appassionato di lettura e assieme alla moglie, dai lineamenti normanni e dalla grinta di una leonessa, scopre che tra le uve di un tempo esisteva lo Schioppettino, che sembra aver trovato il suo habitat naturale nell’area di Prepotto (Udine). Microclima ideale, fresco, ma non freddo, escursione termica, cornice naturale le Prealpi Giulie, presenza della brezza marina. Tutto appare una corona con al centro incastonato un rubino noto come Schioppettino, nome attribuito forse per la croccantezza dell’acino. In quegli anni questi grappoli non sono considerati legali e devono camuffarsi da Refosco del Peduncolo Rosso per essere coltivati. La coppia assieme al sindaco di Precotto dell’epoca, Bernardo Bruno, riesce con determinazione a “resuscitare” grappoli ridenti, copiosi che ancora oggi offrono agli avventori sensazioni uniche. I consigli di Giacomo Tachis per l’utilizzo del rovere di Slavonia, la convinzione che i vitigni friulani fossero longevi ha fatto si ché una famiglia cambiasse completamente la storia non solo della propria esistenza ma della viticultura italiana. Paolo e Dina nel 2013 hanno avuto il piacere di festeggiare le nozze d’oro, ma il temerario Paolo ci lascia l’anno successivo. Oggi ad avere in mano le redini dell’azienda sono i figli Pierpaolo e Ivan, i nipoti Eleonora, Jacopo e forse la piccola Lisa crescono determinati nel proseguire le orme familiari per rappresentare degnamente la terza generazione di vignaioli. Ronchi di Cialla è una realtà solida non solo per la quantità dei vini prodotti, per la lungimiranza di aver saputo preservare le bottiglie dal 1977 ad oggi, per il garbo di aver lasciato la personalità di ciascuna uva nei calici, ma soprattutto per lo stile discreto che solo poche gestioni familiari sono in grado di offrire. Gente compatta nei principi morali, solida nelle tradizioni, ferma nelle posizioni.
P.S. Pierpaolo e Ivan, come sostengono loro stessi, hanno un fratello maggiore: lo Schioppettino!