NASCE IL VCR 421 ANTONIO MASTROBERARDINO
Ancora incerta l’etimologia del vitigno Aglianico. La maggior parte crede che significhi ellenico e attribuisce la sua comparsa in Sud Italia nel periodo della colonizzazione greca dell’VIII secolo a.C. Qualcuno crede che si tratti dell’uva elvola sulla quale ci offre notizie Plinio il Vecchio, passato alla storia anche per aver lasciato la pellaccia durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 a.C. Nel 1596 Bacci ritiene che il nome, sempre di origine greca, sia da collegare al colore del vino: rossiccio e denso e certamente aglaos, ovvero splendente. Sante Lancerio, bottigliere del Papa Leone III, sostiene che provenga dal monte Summa e che sia copioso di colore. I primordi del suo nome, forse, sono da ubicare nel periodo medievale nel quale si distinguevano le uve latine da quelle greche. Se si trattasse, invece, di un grappolo etrusco, sempre campano? Forse i prossimi studi genetici offriranno una risposta più certa. Tre le espressioni note: Taurasi, Vulture e Taburno, tutte terribilmente affascinanti.
Da alcuni giorni il clone di Aglianico di origine prefillosserica denominato “VCR421 Antonio Mastroberardino” è stato inserito nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Un’opera di assoluto valore, quella svolta da Antonio Mastroberardino, che indusse Hugh Johnson, una delle più prestigiose firme della letteratura legata al comparto enoico, a definirlo “The Grape Archeologist”, ovvero l’archeologo della viticoltura. Era il 1989 e all’epoca il vignaiolo campano era già da tempo impegnato in una incessante attività di ricerca relativa non soltanto all’Aglianico, ma anche agli altri grandi vitigni del territorio come il Greco e il Fiano.
La ricerca si fa progetto: siamo agli inizi del nuovo millennio e l’azienda avvia una collaborazione con i Vivai Cooperativi Rauscedo, ponendosi come traguardo quello di individuare, classificare e infine registrare antichi cloni di Aglianico sopravvissuti alla fillossera.
“Un vero e proprio viaggio nel tempo – sottolinea Piero Mastroberardino – che ha visto in questo riconoscimento ufficiale non la tappa finale ma semplicemente un fondamentale punto di svolta. “Redimore”, Irpinia Aglianico DOC, è infatti il primo frutto, in vino, della vinificazione in purezza di questo antico clone rimesso in campo, una traccia importante per proseguire il nostro lavoro di ricerca e sperimentazione sulle radici della nostra viticoltura. Sul piano affettivo affiora la soddisfazione e l’orgoglio di aver condotto a compimento un progetto che riporta nel calice quei caratteri che mio padre aveva conosciuto e amato e che per lui, come per tutta la mia famiglia, rappresentano l’essenza stessa dell’Aglianico”.