Lo chef Massimo Viglietti lascia assaporare la propria anima
Gli artisti e soprattutto i grandi spiriti subiscono periodi di cambiamento, qualcuno segue il vento e cavalca l’onda, altri si oppongono perché non si identificano con la società che li circonda, ma in ambo i casi si raggiungono traguardi. Meta parola di origine greca che come sinonimo ha mutamento, trasposizione, trasferimento, negli ultimi mesi è stata protagonista dell’esistenza di Massimo Viglietti. Chef istrionico, diretto, dalla battuta sagace, l’aspetto rockettaro, dal crine grigiastro in alcuni casi seducente, il corpo “mappato” da momenti della sua esistenza. Sostiene di non essere un fan di gastroblogger e gastrofilosofi, ma non ne è immune neanche lui, vive la vita con passione e si mette in gioco quotidianamente, sa essere generoso con i suoi collaboratori perché del suo mestiere è sicuro, compagno fedele, la sua inquietudine si trasforma in arte nelle pietanze. Dialogare con lui è un piacere, spazia da una cultura sui vini, per giungere alla storia dei menu, mai tralasciando le sue origini liguri. Consapevole che la vita sia una partita di scacchi…Qualcuno dovrà pur vincerla e su questo sa anche essere autocritico nel caso in cui non dovesse raggiungere l’alloro. Da diversi anni trasferito nella Capitale, nell’ultimo periodo ha trovato il suo approdo al Taki Labo di via Marianna Dionigi 56/60 assieme alla sommelier Yukari Ohashi e al marito Onorio Vitti. Location adatta a temerari, amanti del gusto e della raffinatezza. Viglietti diventa il dio di un tempio dalle radici orientali, in realtà universali, tutto suo nel quale i fortunati avventori vivono e rivivono esperienze che diventano lo specchio dell’anima. Vasi di Pandora, schizzi su tavolozze, MAPS di Edwin Shneidman, bassorilievi artistici in un’atmosfera scura, nipponica evocata anche da un enorme bonsai che lascia intendere che non esiste solo il corpo e che lo spirito va ugualmente nutrito. Ingredienti? Nomi dei piatti? Sarebbe banale scrivere un’esperienza che seppur assaporata in comune è tutta personale. Massimo racconta i suoi piatti intervallati da nettari, in alcuni casi di nicchia, le note del gruppo musicale tedesco Einstürzende Neubauten entrano nell’anima degli assaggiatori anche se non ne conoscono i testi. I cibi, in alcuni casi, sono strepitosi, trasparenze impalpabili, tessere di mosaico diafane che regalano suggestioni visive, olfattive e gustative semplicemente da vivere.