Paolo, Giampiero Bea e l’intensità del Cerrete
Uno dei vitigni più interessanti di tutta la Penisola è il Sagrantino, tipico di Montefalco (Perugia). Le sue origini si perdono nell’oscurità sebbene i vini di quest’area siano stati citati dal più noto scrittore di epigrammi Marziale e da colui il quale perse la pellaccia, durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d. C., Plinio il Vecchio. Si dovrebbe parlare di uva hirtiola. Se fosse così una versione di passito doveva essere agognata al tempo dei Romani. Nel 1992 ottiene la denominazione DOCG. Tra i calici migliori della regione, talvolta insuperabile per via dell’annata, emerge la cantina di Paolo Bea. Uomo attivo che assieme all’aiuto della moglie Marina ha costruito una cattedrale che non avrebbe mai immaginato. A prendere, però, in mano oggi le redini dell’azienda è Giampiero. Precursore dei tempi, ha deciso di ritornare indietro guardando il futuro. La sua filosofia è seguire la voce dell’ambiente, il soffio del vento, l’umidità della terra, l’alternarsi delle stagioni, i cambiamenti climatici creando un vero e proprio movimento nel 2004, chiamato Vini Veri. L’evento offre la possibilità di degustare a Cerea ( Verona) i vini come Dio li crea nel weekend precedente al Vinitaly. Tutte le regioni presenti e diverse le uve. Una manifestazione dalla quale gli appassionati del settore non possono sfuggire. Lo scorso anno patron è stato il maestro ed esperto della biodinamica Josko Gravner. L’intenditore sosteneva che per produrre un buon vino non è necessario essere dei grandi enologi ma dei filosofi. Qualsiasi uomo di cultura avrebbe affermato un fatto del genere perché dall’ipotesi nasce il ragionamento e quindi la soluzione. Anche i grandi matematici sono degli abili filosofi. Si sa… In questo Paese è più facile andare controcorrente nei confronti di volti noti per ottenere un briciolo di popolarità, travisando ciò che afferma chi è più preparato. Diversi gli attacchi e i commenti. Inutili le parole a riguardo poiché producono solo rumore e sviliscono l’importanza dei fatti e soprattutto degli effetti.
Giampiero possiede una personalità forte, a volte un po’ spigoloso, intuitivo, determinato, sempre alla scoperta del nuovo sa cosa vuole e soprattutto come ottenerlo. I suoi calici non sono solo l’emblema di una regione ma il gusto delle uve, gli aromi ben definiti, il palato rimane sempre soddisfatto e la persistenza è lunga. Per gli amanti del rosso il Pippirello e il Paglioro sono suadenti e differenti; la versione di passito di Sagrantino rammenta il carciofo, la violetta e la ciliegia matura, ma il nec plus ultra si raggiunge con il Cerrete. Le uve macerano per 32 giorni sulle bucce e sui vinaccioli, minima l’aggiunta di solfiti, acciaio inox e botti di rovere di Slavonia rendono il nettare più prelibato. Il prezzo della bottiglia non è accessibile a tutti, ma è ovvio che chi lo vuole degustare lo può fare. Non si tratta di un semplice vino realizzato bene, ma di un’esperienza sensoriale memorabile. Chi lo assaggia lo vuole riassaggiare e poi ancora e di nuovo ancora, ma nel contempo ha paura che finisca. Il profumo è intenso, il sorso voluttuoso, il sapore netto pulito ma carnoso. Sembra di godere di un frutto che si pregusta attraverso lo sguardo e l’olfatto. Una serie di spezie si adagiano sul prodotto prelibato che qualcuno considera essere quello del peccato…
Se vi capita di fiancheggiare Montefalco non è difficile individuare le vigne di Paolo Bea. Sono quelle che possiedono il giusto fogliame, che fuoriescono dalla terra per raggiungere l’alto il più possibile, che si lasciano accarezzare dal sole nel modo giusto. Sono i grappoli prelibati che affrontano le intemperie, le avversità della vita come solo i grandi filosofi possono fare…