Marco Carpineti, i vitigni laziali e Il Moro…

 

Da dove proviene la parola vino? Forse dalla radice sanscrita ven che significherebbe amare. Chi non ha mai amato o sedotto con un calice di buon nettare? La letteratura pullula di episodi che hanno come protagonista il prezioso liquido. Ulisse lo utilizza per addormentare il ciclope Polifemo; Orazio brinda in onore della sconfitta del “mostro fatale” Cleopatra, numerosi gli episodi. I generali romani nel conquistare i territori portavano un tralcio di vite come simbolo di civiltà. Il Lazio, però, con il trascorrere del tempo sembra aver dimenticato gli antichi allori. Per anni ha lasciato che venissero impiantati  vitigni internazionali sul suolo, scordandosi dei propri. Tra le zone più vocate emerge Cori ( Latina)  con le sue uve considerate autoctone : Bellone e Nero Buono. Ad aver intuito le potenzialità del territorio?  Marco Carpineti. Uomo attento ai dettagli, talvolta scorbutico, intuitivo, caparbio. Spera di aver lasciato agli eredi Paolo e Isabella l’onestà e la trasparenza nell’agire. Quando disquisisce sul vino si esalta, sa di aver intrapreso la strada giusta, quando parla dei figli, invece, abbassa il tono della voce, si emoziona. Si rammarica quando si accorge che le istituzioni, spesso, si perdano nella burocrazia. “ Erroneamente quando si offende qualcuno, gli viene detto che possiede delle braccia rubate all’agricoltura, in realtà non è così. La terra necessita di cervelli non di braccia. Le ultime generazioni scappano all’estero perché il nostro Paese non offre loro nulla, ma in realtà avremmo molto da dare. L’enogastronomia è un’eccellenza. Abbiamo una varietà di climi, di suoli, di uve non comune. Bellone e Nero Buono solo alcune espressioni. Sembra che in Italia i politici ciechi abbiano una lanterna, ma dovrebbero ascoltare gli agricoltori e collaborare. Tra le mie bottiglie la più emblematica per il nome è Nzu dalla fermentazione naturale e l’affinamento in anfore di terracotta. La parola nella lingua locale significa insieme. Spesso si pensa a quali uve costituiscano una bottiglia, a come sia stata creata. Noi siamo oltre. Investiamo nel futuro per cui seguiamo la biodinamica. Quando considero i miei degustatori, non individuo una classe sociale, un target ma mi aggrada immaginare che chi acquisti le mie bottiglie pensi ad una persona. Esiste il sorso da condividere con un amico, con la famiglia, con un amante. I miei prodotti sono riconoscibili e questo mi soddisfa”.

Proprio domani alla vasta gamma delle bottiglie di Marco se ne aggiungerà un’altra… Il Moro, figlio del Greco e di piante antiche… Non resta che andare ad assaggiarlo presso l’Hotel Cesari di Piazza Pietra della Capitale. Non resta che aspettare…