L’ Aglianico secondo Terre di Petrara
Si sa tra i conquistatori del mondo emergono i Romani, talvolta, feroci, determinati, in grado di inglobare disparate popolazioni e, secondo il loro modo di vedere, anche di civilizzarle. Numerosi generali entravano da un territorio a un altro con un tralcio di vite in mano per mettere in chiaro che su questi suoli sarebbero rimasti per lungo tempo. È lo stesso Giulio Cesare che porta con sé del frutto legato al culto di Dioniso durante le campagne militari. Noti e ambiti i nettari campani che seppur godessero di una fama invidiabile nei secoli sono stati, talvolta, dimenticati per riprendersi negli ultimi anni una notorietà che meritano. Molto interessante resta l’area irpina per la varietà dei suoli che spazia da vulcanici a calcareo – argillosi, il divario climatico, le escursioni termiche, una regione che offre grappoli ancora in grado di raccontare storie inedite e vivaci.
Tra i grappoli faraonici spicca l’Aglianico la cui etimologia, ancora oggi, brancola nel buio. In molti la attribuiscono all’aggettivo ellenico facendo risalire la sua origine alla colonizzazione greca dell’VII sec. a.C. e accostando la somiglianza con l’uva elvola descritta da Plinio. Sarà così o si tratterebbe, invece, di un frutto la cui buccia sarebbe così luminosa ἀγλαός (aglaos) da condizionarne il nome? O ancora di origine etrusca e della zona di Capua? Qualunque sia la risposta si tratta di un fiore all’occhiello che diventa DOCG con il Taurasi nel 1993.
Tra le espressioni del territorio emerge la realtà di Terre di Petrara rappresentata dalla famiglia Simonelli, gente di cultura che ha investito in questo territorio in modo intelligente, lasciando la natura quanto più contaminata. Vegetazione fitta, luoghi ancora ameni benedetti da una quercia centenaria che sembra voler raccontare tutto ciò che ha visto.
L’Aglianico 2019 dalle sfumature rubino è un sorso immediato, destinato a giovani palati. Pepe nero, ciliegia, humus, terra bagnata, in bocca tannini laccati esprimono l’immediata abbinabilità al cibo. Le peculiarità del vitigno sono restano intatte.
Il Taurasi 2019 è un bimbo che sta imparando a pronunciare le sue prime parole. Chi balbetta e tra poco sarà in grado di cantare come un tenore. Lavanda, cardamomo, note balsamiche, all’assaggio un’onda di piacere che giunta alla riva si placa e si lascia cavalcare. In bocca polvere di cacao e amarena si avvolgono in un epilogo goloso.
L’annata 2017 dagli archetti sinuosi che disegnano le colline irpine sprigiona un bouquet estroverso nel quale violetta, confettura di mirtilli, prugna, polvere di liquirizia solleticano per poi trasformarsi in un assaggio morbido, avvolgente nel quale tannini setosi scivolano come un guanto perfettamente indossato. Finale piacevolmente copioso.
La versione 2018 è di rara eleganza. Incenso, olio di canfora, corteccia, paprika dolce, minuscoli frutti rossi. Libidinoso, verticale, chic, un raro esemplare che rasenta la perfezione e rammenta che se Gesù ha dedicato il primo miracolo al nettare di Bacco avrà avuto la giusta intuizione che questo liquido avrebbe attraversato i secoli per lungo tempo e sarebbe stato un fedele compagno dell’uomo, un grande ascoltatori di segreti, un consolatore di affanni.